La millenaria espressione della fede cristiana
Amore della Bellezza.
All’inizio ci si accorda sul soggetto, sulle misure, sul prezzo e sui tempi di esecuzione della tavola. A seguire viene presentato un bozzetto preparatorio che può eventualmente essere modificato secondo le esigenze del committente. Una volta approvato il disegno si passa al taglio della tavola, alla sua preparazione e all’esecuzione vera e propria dell’icona. Finita l’icona, essa viene proposta al cliente per l’approvazione definitiva. Dopodiché viene pagata e spedita al committente.
Normalmente, per le icone su tavola, uso la tecnica tipica del medioevo.
Sopra la tavola (di tiglio solitamente) viene incollata una tela con della colla di coniglio. La medesima colla viene mescolata a caldo con del gesso di Bologna che, steso in vari strati, fornirà la base bianca per la pittura. Dopo aver riportato e ripassato a pennello il bozzetto, si procede con la doratura con foglia d’oro zecchino (22k) con la tecnica a guazzo. Il soggetto viene quindi dipinto con la tempera all’uovo, ovvero con i pigmenti puri in polvere miscelati con il tuorlo d’uovo e stesi in strati sovrapposti. Al termine si protegge il tutto con una vernice trasparente.
Personalmente non sono un fanatico della tecnica, la quale è un mezzo e non il fine per la realizzazione di un’icona. È inevitabile che molti prodotti di origine industriale vengano utilizzati durante il lavoro. Qualcuno potrebbe vedere ciò come una “profanazione” dell’icona, dimenticando che esistono icone realizzate in tutte le tecniche e i materiali possibili. Questo pensiero, che i materiali “naturali” siano migliori di quelli “industriali”, genera un manicheismo secondo cui alcune materie siano più degne di altre di essere usate nell’arte sacra. Non si dimentica forse che tutta la materia, che abbia subito o meno un processo di lavorazione, è stata creata da Dio? L’ingegno umano, che si esplica nei processi industriali, è forse capace di svilire la natura? Io non credo ciò. Pertanto, fermo restando che la maggior parte delle icone vengono realizzate con la tecnica sopradescritta, per particolari esigenze che garantiscano la conservazione dell’opera, è possibile che usi legno multistrato o colori acrilici senza che la qualità dell’immagine ne venga compromessa.
L’infelice esperienza di vedere le scene del refettorio di Norcia piene di crepe a seguito del terremoto, mi hanno fatto riflettere sulla convenienza di dipingere direttamente sul muro. Quindi no, non realizzo affreschi nel senso tecnico del termine, e limito al minimo la pittura “a secco”, ovvero con acrilico, sul muro. Ho invece adottato una tecnica molto usata dai decoratori e anche dagli iconografi greci, che è quella di dipingere su grandi tele, in studio, che vengono poi incollate sulla parete. L’effetto è assolutamente indistinguibile dalla pittura murale e offre due vantaggi: per l’artista, quello di lavorare comodamente in studio; per il committente, quello di non avere l’impalcatura in chiesa per mesi e mesi, ma solo per il tempo necessario a installare le opere.
Lo stile che uso è ispirato soprattutto all’arte gotica del XV sec. Quando i monaci di Norcia mi chiesero di decorare il loro refettorio, preferirono che usassi uno stile più “occidentale”, europeo. La mia attenzione cadde sulle opere del gotico internazionale. Rispetto all’arte giottesca, infatti, che può essere considerata proto-rinascimentale, il tardo gotico recupera quei valori di astrazione che sono peculiari dell’arte bizantina (fondo astratto, mancanza di profondità) uniti però a una descrizione del reale più accurata e a una certa libertà compositiva che permette di interpretare (non stravolgere) i canoni compositivi dell’iconografia sacra. Quello che all’inizio mi sembrò una transizione indolore, si rivelò in verità più complessa di quanto pensassi. Tuttavia, le possibilità espressive offerte da questo stile mi sono sembrate congeniali. Esso offre quel realismo che non scade nel naturalismo, e per questo si adatta perfettamente anche alla rappresentazione di santi o temi di epoca più recente, senza ricorrere a goffe “bizantinizzazioni”. Eppure, la componente trascendente, che si esplica nell’uso dei simboli, nella mancanza della prospettiva e nell’assenza di una fonte di luce precisa che proietti ombre, garantisce che tali rappresentazioni siano riconosciute come sacre, ovvero appartenenti a una dimensione tangente, ma non coincidente a quella del quotidiano. Con questo stile vorrei creare icone che abbiano sia un carattere familiare e accostante, dato dalla verosimiglianza alla natura visibile e dall’immediata riconoscibilità dei soggetti, sia quel tanto di spirituale che permetta di vedere oltre la rappresentazione, e diriga lo sguardo del cuore verso quella Realtà che è oltre e dentro la nostra realtà.
Le icone visibili in questo sito, pertanto, non sono riproduzioni di antiche opere, ma realizzazioni originali create dall’assimilazione del linguaggio gotico nella sua più intima essenza.
Lo stile gotico, impropriamente così chiamato come sinonimo di barbarico, in opposizione al classicismo greco-romano, è in verità lo stile che ha caratterizzato tutta l’Europa nel basso medioevo. Partendo da un ceppo comune che era l’arte romanica e bizantina, esso si sviluppa in modi diversi nei vari centri del continente. In Francia assume connotazioni più lineari ed eleganti, che poi influenzeranno il resto dei territori d’oltralpe. In Italia prende avvio dalla pittura di Giotto che conferirà alle immagini una concretezza di spazio e volume inedite. Le varie componenti si influenzeranno reciprocamente, grazie alla circolazione delle opere e degli artisti. Alla fine del XIV sec. e nella prima metà del XV sec. si raggiungerà una certa uniformità di linguaggio in cui la lezione giottesca viene integrata in un sistema lineare e decorativo dando vita a uno stile esuberante e raffinato, ma ricco di dettagli naturali e popolari. Questa trasformazione dello stile non sarebbe stata possibile senza l’integrazione della filosofia aristotelica nella teologia latina, precedentemente dominata dal neoplatonismo. La monumentale opera di san Tommaso d’Aquino ha permesso di conciliare ciò che precedentemente sembrava antitetico, ovvero ridare dignità al Creato, al mondo materiale, all’uomo in quanto tali e non solo come simboli imperfetti ed effimeri di una Realtà superiore invisibile. Questa rivalutazione del visibile per come è in sé stesso, e non solo per ciò a cui rimanda, unita alla crescente curiosità verso la natura, trova espressione diretta tanto nella scultura che riveste le cattedrali francesi, quanto nell’arte di Giotto, che della rappresentazione della realtà fenomenica è stato il capostipite. Non bisogna comunque sottovalutare quanto la fede cristiana fosse preponderante nell’orizzonte mentale dell’epoca, cosa che impedisce di vedere il mondo come fine a sé stesso, ma sempre in rapporto al Creatore e alla storia della Salvezza.
Fare arte sacra nel XXI sec., in una situazione sociale, politica e culturale tanto diversa da quella medioevale, è una sfida difficile. Non abbiamo più nessun canone di riferimento, non esiste nessuna idea di bellezza comunemente condivisa. Soprattutto, non abbiamo più una comune visione di ciò che è la vita cristiana, perché anche all’interno della Chiesa vi sono molte correnti e molte visioni diverse. Eppure in un panorama così relativo e privo di assoluti, sempre più persone si avvicinano all’icona poiché riconoscono in essa una immediatezza e una chiarezza di intenti che forse altrove non è così evidente. Non sarà forse il sintomo di una sete verso quell’Oltre che non è evasione dalla realtà, ma una visione diversa della realtà stessa? L’icona, infatti, pur nella sua stilizzazione, non nega né può negare il mondo e l’uomo, in virtù dell’Incarnazione del Verbo. Essa trasfigura e proietta il mondo e l’uomo nella dimensione dello Spirito, anzi, li rivela nella loro intima essenza. L’icona è l’immagine dell’uomo redento. La materia però non è annullata dalla grazia, ma perfezionata, “gratia perficit naturam”. Per questo trovo assai importante che questa non venga troppo semplificata, ma abbia una certa consistenza, che appaia per ciò che è, stando attenti a non cadere nel naturalismo. Lo stile gotico è, sotto questo aspetto, il perfetto equilibrio fra Spirito e materia, fra Invisibile e visibile, fra Trascendente e immanente.
PHILOKALIA significa amore della bellezza.
Estetismo esasperato? Tutt’altro. Philokalia è il titolo della più famosa antologia di testi ascetici e di preghiera del mondo ortodosso, particolarmente usata dai monaci del Monte Athos. Non è dunque un trattato di estetica né di arte sacra. La Bellezza amata e ricercata dai monaci, e da ogni cristiano, non è fine a sé stessa ma ha un sostanziale rapporto con la Verità e il Bene. La Bellezza è lo splendore del Vero, il modo in cui la Verità sigilla sé stessa e si autoproclama.
Al termine della Creazione, Dio vide che ogni cosa era molto buona, ma potremmo anche dire che ogni cosa era molto bella, poiché il greco Kalos designa sia il bello che il buono. Nella Creazione spicca l’uomo, unico a essere stato plasmato a immagine e somiglianza di Dio e quindi specchio vivente della vita divina. Sfigurata dal peccato, tale impronta divina è stata ripristinata da Colui che sì proclamato Via Verità e Vita: Gesù Cristo, “il più bello fra i figli dell’uomo”.
La cultura attuale è segnata dalla profonda divisione avvenuta nelle sue discipline nei due secoli precedenti, che a stento si cerca ora di ricomporre. Fra queste, la Bellezza, analizzata nell’”estetica”, è stata la più marginalizzata, ridotta a cosa inutile e superflua, bistrattata dagli stessi artisti, dopo averla privata di ogni sostanza e ridotta a un guscio vuoto. Ciò che ne abbiamo ottenuto è un’arte ridotta a mera decorazione, a provocazione o a elucubrazione cerebrale. Al contrario, nella sua forma tradizionale, l’arte è il mezzo con cui la Realtà si rivela nella sua essenza più profonda, in cui la natura è ricondotta alla sua sorgente, la storia al suo senso ultimo e l’uomo alla sua immagine divina.
La passione per l’icona è nata dall’attrazione per il suo stile arcano, l’apparente ingenuità, che nasconde una ferrea coerenza interiore, il senso di inafferrabilità di un’immagine che sottintende molto più di quanto mostri. L’approfondimento della spiritualità e della liturgia ortodossa mi hanno spalancato un mondo di cui l’icona era l’espressione pittorica, compenetrata nel rito e nella preghiera. La forma m’aveva fatto sospettare un contenuto che si rivelava ricchissimo. La Bellezza acquistava il senso pieno del suo essere Epifania.
A seguito di ciò, ogni altra forma d’arte contemporanea m’è sembrata uno sterile individualismo, un inutile vaneggiamento, un esercizio narcisistico, un vicolo cieco di rovelli interiori, un punto di vista troppo relativo e parziale, in una parola: autoreferenziale, impossibilitata a trascendersi. Nell’icona c’è obbedienza e libertà, l’esperienza personale e quella ecclesiale, la propria vita interiore e l’oggettività della Realtà divina. Essa non si appaga in sé stessa, ma quale ponte verso l’Invisibile, appartiene all’ordine del simbolo e lascia intendere un Oltre inesauribile.
Il laboratorio nasce come luogo di approfondimento e ricerca di quella che è l’autentica arte sacra cristiana. Autentica sia perché esprime la giusta concezione dell’arte dal punto di vista della fede, sia perché annuncia la fede attraverso i mezzi specifici dell’arte. Nel deserto artistico contemporaneo, l’icona risuona come un appello alla propria santificazione, invoca la presenza dei santi e ci ricorda che il Regno di Dio è vicino e che ad esso dobbiamo tendere.
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